Cinque miti dalla Collezione Costantini
Il lungo ballatoio che corre al di sopra della Sala III del Museo Civico Archeologico espone una selezione significativa della ricca collezione di ceramiche antiche donate al Comune di Fiesole nel 1985 da Alfiero Costantini. Insigne medico e chirurgo, nonché docente presso l’ateneo fiorentino e direttore dell’Istituto di Urologia della stessa università, il prof. Costantini (Terni, 1918 – Firenze, 1995) è ricordato infatti, oltre che per i suoi meriti scientifici e accademici, anche per esser stato un profondo e sincero amante dell’arte e dell’archeologia. La sua eccezionale collezione di vasi antichi si mostra infatti estremamente eterogenea per forme e provenienza dei manufatti che la compongono: al suo interno si può rintracciare ancora oggi un notevole numero di ceramiche di varia tipologia, riconducibili a differenti maestranze e botteghe del mondo greco e italico. Se in molti casi i vasi in questione risultano decorati da semplici animali, motivi vegetali e personaggi all’apparenza “anonimi” (caratteristici dei repertori iconografici antichi), in un certo numero di esemplari è possibile riconoscere rappresentazioni di precisi episodi mitologici, maggiori e minori, che offrono al visitatore uno spaccato molto interessante del patrimonio epico, mitologico e religioso della civiltà classica.
Salendo dalla Saletta IV, nell’attuale percorso espositivo, si incontra per primo un raffinato cratere “a campana”, di produzione apula, databile verso il 370-360 a.C. Il cratere rappresenta una delle forme più diffuse nella ceramica greca, costituendo il tipico contenitore utilizzato in banchetti e simposi per mischiare l’acqua con il vino (che tutti i Greci bevevano rigorosamente diluito). Sul corpo del cratere si riconosce un personaggio maschile inquadrato fra due femminili. Gli attributi esibiti del soggetto – una clava, una faretra, un arco e una pelle di leone – permettono di identificarlo con Eracle, il più celebre degli eroi greci, qui rappresentato in piedi di fronte alla sua protettrice, Atena; la dea, armata di lancia e con il tipico elmo calcato sul capo, si accinge a porre una corona sul capo dell’eroe, mentre una seconda divinità dalla chioma velata – forse Ebe – reca a sua volta un’altra corona fra le mani (Fig. 1). L’episodio qui raffigurato rappresenta la conclusione della vita di Eracle, il quale, dopo l’uccisione del Centauro Nesso, rimane vittima dell’inganno da lui ordito: prima di morire, infatti, Nesso aveva convinto Deianira, sposa di Eracle, a intingere nel suo sangue la tunica del marito, con la promessa che questo gesto avrebbe reso l’eroe invincibile. Il sangue di Nesso era in realtà estremamente velenoso; in preda a un dolore lancinante, Eracle si getta dunque su una pira ardente, nel tentativo di porre fine alla sua atroce sofferenza, e muore consumato dalle fiamme. Zeus, impietosito per la fine del figlio, chiede allora ad Atena di condurre lo spirito di Eracle sull’Olimpo, perché esso venga incluso fra gli dei immortali, e gli assegna inoltre la giovane Ebe, coppiera degli dei, come nuova sposa. L’incoronazione di Eracle rappresenta dunque, con ogni verosimiglianza, il momento dell’apoteosi di Eracle, quando l’eroe, dopo molte fatiche e peripezie, può finalmente fare il suo ingresso trionfale fra gli dei dell’Olimpo.
Prima di accedere al ballatoio della Sala III, nella vetrina di sinistra si può ammirare una grande loutrophoros, anch’esso di produzione apula, databile agli anni 320-310 a.C. Si tratta in questo caso di un differente tipo di vaso, dalla forma allungata, utilizzato per contenere l’acqua per le abluzioni rituali. Questo tipo di vaso fa non di rado la sua comparsa anche come offerta nelle necropoli greche e magnogreche. Se sul lato principale si può riconoscere una donna defunta – forse proprio la dedicataria del vaso – seduta entro un naiskos (e cioè, un monumento funebre a forma di piccolo tempio), sul lato opposto si trova invece una scena mitologica che sembra fare da contraltare a questa immagine (Fig. 2). Incatenata dentro una cornice rocciosa, si può qui osservare una giovane donna dalla lunga veste, coronata da un prezioso diadema, che rappresenta la principessa Andromeda. Figlia di Cefeo, re d’Etiopia, e della vanitosa Cassiopea, la giovane viene additata da un oracolo come vittima sacrificale per placare la fame del Ketos, il vorace mostro marino scatenato contro il regno di Cefeo da Poseidone, dio del mare, come punizione per l’empietà di Cassiopea: la regina aveva infatti sostenuto di poter paragonare la bellezza della figlia a quella di Anfitrite, sposa di Poseidone, il quale aveva scelto per questo di punire non solo Cassiopea, ma anche tutta la sua famiglia e il suo regno. La salvezza per Andromeda arriva, insperata, per mano di Perseo, altro celebre eroe del mito, anch’esso figlio di Zeus, di ritorno dallo scontro con la Gorgone Medusa. Armato della sua harpè – la spada d’oro dalla lama ricurva, forgiata in antico dagli dei – Perseo si scaglia contro il Ketos e lo uccide, liberando così Andromeda dalla piaga del mostro marino e ricevendo per questo da Cefeo l’onore di poter sposare sua figlia. Il mito di Andromeda e Perseo sembra dunque costituire, in questo caso, il perfetto pendant per la raffigurazione dell’anonima defunta sul lato opposto della loutrophoros, la quale, all’apparenza “imprigionata” nel sepolcro, sembra parimenti attendere un eroe che la liberi dalla sua condizione di morte.
Proseguendo sul ballatoio sopra la Sala III, sul lato sinistro, si incontrano ancora tre ulteriori miti “minori”, eppure degni di particolare nota per la fortuna dimostrata fra i ceramografi di età arcaica e classica. Il primo è quello che si osserva riprodotto su un’anfora attica a collo separato, del 520-510 a.C., decorata con la tipica tecnica delle figure nere. L’anfora rappresenta forse una fra le forme vascolari più comuni – e in un certo senso “iconiche” – di tutto il mondo antico, caratterizzandosi per il suo corpo ovoidale, il piede di appoggio e le due anse parallele collocate ai suoi lati. Questo esemplare mostra in particolare lo scontro fra Apollo ed Eracle per il possesso del tripode di Delfi (Fig. 3). Secondo la narrazione mitologica, infatti, in preda alla follia, Eracle raggiunge il santuario delfico per interrogare la Pizia, la più celebre delle sacerdotesse di Apollo, famosa in tutta la Grecia per i suoi vaticini. L’eroe spera in questo modo di trovare una soluzione alla tormentosa condizione che lo affligge. Tuttavia, davanti al rifiuto della donna di offrire un responso alla sua domanda, Eracle cade in preda alla rabbia più cieca e tenta di impossessarsi con la forza del sacro tripode, che fa da trono alla stessa Pizia e che le consente di pronunciare i suoi oracoli per conto di Apollo. Proprio il giovane dio arciere, fratellastro di Eracle e patrono di Delfi, interviene allora sulla scena e fra i due figli di Zeus nasce una delle contese più spesso ravvisabili sulla ceramica greca dipinta. A sostenere Eracle si nota, sulla destra della scena, la dea Atena, sua inseparabile protettrice, armata dell’elmo e dello scudo rotondo, mentre alle spalle di Apollo sta Artemide, dea cacciatrice e gemella del dio delfico. Alla fine sarà proprio Apollo ad avere la meglio e a riconquistare il suo tripode, con il quale riconfermerà la sua signoria sul santuario di Delfi.
Non tutte le battaglie, tuttavia, si vincono sempre con la forza bruta. Questo insegnamento può essere ben tratto da un secondo cratere, del tipo detto “a colonnette”, databile verso il 500 a.C., sul quale è riprodotto il singolare episodio del ritorno di Efesto sull’Olimpo. Al centro della scena campeggia proprio lui, Efesto, il fabbro divino, figlio di Hera, regina dell’Olimpo (Fig. 4). Secondo il mito, Efesto è figlio di Hera, regina dell’Olimpo, la quale lo genera senza l’intervento del marito, come punizione per i suoi numerosi tradimenti; tuttavia, a causa del suo aspetto deforme, la dea si disgusta alla vista del piccolo figlio e lo scaraventa giù dall’Olimpo, facendolo cadere sull’isola di Lemno e condannandolo a rimanere zoppo. Una volta cresciuto, Efesto medita vendetta e, grazie alla sua abilità nella lavorazione dei metalli, realizza un trono d’oro con cui omaggia l’odiata madre: non appena Hera si siede sul trono, tuttavia, alcuni sottili lacci d’oro scattano come una trappola e bloccano la regina sulla sua seduta. Efesto se ne va allora dall’Olimpo, rifiutandosi di liberare la sfortunata dea. Interviene quindi l’astuto Dioniso, dio del vino, che, grazie alla sua inebriante bevanda, fa ubriacare Efesto, convincendolo a tornare sull’Olimpo e a liberare Hera. In cambio, Efesto ottiene di essere riammesso sull’Olimpo con gli altri dei e riceve inoltre da Zeus come moglie Afrodite, dea della bellezza e dell’amore. Nella scena qui presentata, si riconosce proprio il dio Efesto, con in pugno il suo strumento da lavoro, il quale, in sella a un asino e coronato d’edera, si incammina verso l’Olimpo. Al suo fianco, in un tripudio di tralci di vite, si vedono due Menadi, le folli seguaci di Dioniso, e ancora un Satiro dall’aspetto ferino, che trasporta sulla schiena un’otre di pelle carica di vino, con cui mantenere offuscata la mente di Efesto già ebbro.
L’ultimo mito di cui discutere è quello presente su una lekythos a fondo bianco, di produzione attica, risalente con ogni probabilità al V secolo a.C. La lekythos rappresenta una forma vascolare dal corpo cilindrico e dal collo allungato, dotata di un’unica ansa, utilizzata in antico per contenere oli e altre sostanze profumate, non di rado dedicate ai defunti nelle necropoli. In questo caso si può osservare la singolare presenza di un fondo bianco, che costituisce l’indicatore della provenienza di questo manufatto dal territorio di Atene. Sul corpo del contenitore si riconosce un personaggio dai lunghi capelli, con la chioma cinta da un diadema e con il corpo velato da una lunga veste. Si potrebbe pensare a una figura femminile, se non fosse per le lunghe spighe di grano che esso trattiene nella mano sinistra, e ancora per il fatto che lo stesso soggetto appare seduto su una biga alata, trainata da una coppia di lunghi serpenti (Fig. 5). Questi attributi permettono di riconoscere senza equivoci nel personaggio qui raffigurato il giovane Trittolemo, figlio del re di Eleusi, Celeo. Secondo il mito, durante il suo girovagare fra i mortali, Demetra giunge a Eleusi, dove chiede ospitalità al sovrano della città. La dea era in quel momento grandemente afflitta per il rapimento della figlia Kore da parte di Ade, dio dell’Oltretomba, e la terra per questo aveva smesso da tempo di produrre spontaneamente i suoi frutti. Nonostante la Demetra abbia assunto le sembianze di una vecchia, tutta la corte la accoglie e cerca di rasserenare il suo animo. Colpita dall’ospitalità di quel popolo che non conosce la sua reale storia, Demetra decide di rivelarsi alla famiglia reale e offre un grande dono al figlio di Celeo, Trittolemo: dopo avergli consegnato alcune spighe di grano, la dea insegna infatti al principe l’arte di seminare e mietere il grano. In seguito, messa a disposizione del ragazzo una biga alata, la dea lo invita a girare per tutta la terra e a insegnare agli uomini l’arte dell’agricoltura – fino ad allora sconosciuta – così che tutti possano tornare a sostentarsi con il cibo che viene dal suolo.
La raffinatezza di questo contenitore e della scena su di esso rappresentata non esaurisce in sé il grande patrimonio mitologico giunto fino a noi sopra le “pagine di argilla” che compongono la Collezione Costantini. A questi si aggiungono infatti ulteriori miti della tradizione classica che non è possibile analizzare in questa sede (come ad esempio quello di Teseo che uccide il Minotauro, o ancora quello di Poseidone che insegue la Danaide Amimone, e molti altri ancora). Per scoprirli tutti, non si deve far altro che visitare il Museo Civico Archeologico di Fiesole e lasciarsi rapire dalla bellezza e dalla vivacità delle figure che popolano i numerosi vasi della Collezione Costantini.
Francesco Tanganelli
Immagini
Fig. 1: Eracle riceve la corona da Atena. Dettaglio da un cratere apulo “a campana”, 370-360 a.C. Fiesole, Museo Civico Archeologico (Collezione Costantini) - foto dell'autore.
Fig. 2: Perseo salva Andromeda dal mostro marino. Dettaglio da una loutrophoros apula, 320-310 a.C. Fiesole, Museo Civico Archeologico (Collezione Costantini) - foto dell'autore.
Fig. 3: Apollo ed Eracle si contendono il tripode di Delfi. Dettaglio da un’anfora attica a collo distinto, 520-510 a.C. Fiesole, Museo Civico Archeologico (Collezione Costantini) - foto Giovanni Martellucci, Università di Firenze.
Fig. 4: Efesto fa ritorno sull’Olimpo. Dettaglio da un cratere attico “a colonnette”, 500 a.C. circa. Fiesole, Museo Civico Archeologico (Collezione Costantini) - foto Giovanni Martellucci, Università di Firenze.
Fig. 5: Trittolemo vola sulla biga alata portando le spighe di grano. Decorazione di una lekythos attica a fondo bianco, V secolo a.C. Fiesole, Museo Civico Archeologico (Collezione Costantini) - foto Giovanni Martellucci, Università di Firenze.
Bibliografia
R. Graves, I miti greci, Milano 1963.
K. Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano 1976.
G. Camporeale, V. Saladino (a cura di), Fiesole – Collezione Costantini | Corpus Vasorum Antiquorum – Italia, Roma 1980.
C. Salvianti (a cura di), La Collezione Costantini. Grecia, Magna Grecia, Etruria: capolavori dalla ceramica antica, Firenze 1996.
M. De Marco (a cura di), Fiesole, Museo Civico Archeologico. Un secolo di bellezza, Firenze 2013.